Il termine Value si riferisce al value investing, la strategia ideata da Benjamin Graham e seguita da molti suoi adepti, tra cui il più famoso Warren Buffett.
Alla base della strategia Value, vi era il balance sheet. I value investor stile Graham, erano coloro che oggi verrebbero definiti distressed investors. Operatori che mirano ad acquistare le società, ad un prezzo inferiore al valore di liquidazione.
Graham ha coniato il concetto del “cigar butt”, cioè società che nessuno avrebbe mai toccato, come il mozzicone di sigaro appunto, perché destinate quasi sicuramente al fallimento. Ma secondo Graham, una volta preso questo mozzicone ci sarebbe stato un ultimo “tiro” gratis. Tradotto, una volta acquistata una società oppure partecipazioni di questa a prezzi inferiori rispetto al valore di liquidazione, e successivamente liquidata la società, si sarebbe ottenuto un margine di profitto, senza alcun rischio. Questo perché, calcolare il valore dei beni in bilancio, le attività tangibili e il loro valore di liquidazione, è molto più semplice, immediato e sicuro, rispetto a stimare il cash flow e gli utili futuri, che secondo lui era molto più incerto.
C’è anche da dire che le procedure di fallimento USA hanno un’affidabilità molto diversa dalla normativa italiana.
Questo tipo di società, che nessuno è disposto a toccare hanno ovviamente rapporti di price/earning, price/book molto inferiori rispetto al mercato, parliamo di P/E anche di 1, 2 o 3. Proprio perché si tratta di società con prospettive di sopravvivenza minime. Qui vi teoricamente vi sarebbe un rischio di perdita permanente di capitale molto basso, a patto che si compri con un grosso margine di sicurezza, cioè ad un prezzo molto inferiore rispetto al reale valore di liquidazione, bisogna quindi avere capacità di stimare correttamente tutte queste attività oppure affidarsi a società di consulenza apposite.
Nonostante queste accortezze, a differenza di quello che molti ritengono, Graham riteneva che un minimo di diversificazione fosse necessaria, proprio perché si trattava di società in condizioni critiche. Riteneva che un portafoglio dovesse essere composto da almeno 20/25 titoli.
Quindi parliamo di una allocazione di 5% massimo del portafoglio per singolo titolo. Molto diversa dall’allocazione moderna di Warren Buffett, che risulta molto più concentrata.
La strategia VALUE INVESTING PURO o DISTRESSED VALUE INVESTING, funzionava molto bene, i mezzi informatici non esistevano. Cioè quando “l’informazione” era un privilegio di pochi. Ma al giorno d’oggi, qualsiasi tipo di soggetto che voglia operare nei mercati può essere a conoscenza dei prezzi, del P/E del P/B P/S, in termini relativamente brevi. Di conseguenza, il prezzo errato, “mispricing” è destinato a durare poco oppure a presentarsi in così poche occasioni, che non potrebbe essere utilizzato come strategia d’investimento. Le opportunità sarebbero poche, soprattutto se le masse in gestione fossero molto elevate.
Un altro motivo deriva dal fatto che, molti degli asset che vengono utilizzati e che producono valore oggi, non sono asset tangibili, ma sono asset intangibili. Un esempio: capire il valore di liquidazione di 10 ettari di terra, 3 capannoni, 2 macchine industriali, è molto diverso dal capire il valore del brand, o di un algoritmo, che non ha nulla di tangibile ma si trova in numeri e codici all’interno di supercomputer e che è destinato ad influenzare i flussi di cassa futuri.
GROWTH investing invece è la strategia degli operatori che investono in società che mostrano segni di crescita superiore alla media (sia in termini di cash flow, o di ricavi, che di profitti).
Si ritiene che il padre di questo metodo d’investimento sia Philip Arthur Fisher, il cui libro “Common Stocks and Uncommon Profits” (1958) è ancora oggi un riferimento per identificare le growth companies.
Le società che vengono inserite nella categoria growth, hanno prezzi per azione più elevati rispetto alle vendite o ai profitti o al valore di liquidazione. Ciò è dovuto alle aspettative degli investitori. Siccome essi si aspettano, un certo tasso di crescita aziendale, quindi maggiori vendite o profitti in futuro, questo viene riflesso nel prezzo e negli indici P/E, P/B, P/S che sono molto più alti.
Più è elevato il livello di crescita che ci si aspetta, più elevati saranno i rapporti P/E. Questa strategia viene ritenuta più rischiosa. Perché tutto si basa sul futuro, sulla stima di utili futuri, sulla stima di una crescita futura, sono supposizioni, ma in concreto nel presente non vi è solidità come può esserci da un valore di liquidazione. Quindi gli investitori si aspettano grandi cose, ma se i piani di crescita non si concretizzano, o il tasso di crescita non riesce a soddisfare le aspettative, il prezzo del titolo può crollare.
Grazie a Charlie Munger, anche la filosofia di Buffett si è evoluta, da investitore in società in liquidazione (come la Berkshire Hathaway che era un’azienda tessile) ad investitore in società di alta qualità con prospettive di crescita. Nella lettera agli azionisti del 1999 disse: <<È molto meglio acquistare un’azienda meravigliosa ad un prezzo ragionevole, che un’azienda ragionevole ad un prezzo meraviglioso. Charlie lo capì presto: “io ero uno studente lento. Ma ora, quando si acquistano società, cerchiamo aziende di prima classe accompagnate da un management di prima classe.”>>.
Poi vi è una terza categoria: GARP, ovvero growth at a reasonable price. La crescita ad un prezzo ragionevole, è stata ideata e proposta da Peter Lynch, ex gestore del Fondo Magellan di Fidelity, che riuscì ad ottenere un rendimento del 29.2% annuale per 13 anni, dal 1977 al 1990.
Questa strategia è una via di mezzo tra Value e Growth. I target degli investitori GARP, sono società con crescita degli utili costante a livelli superiori al mercato in generale, con esclusione di società con valutazioni molto elevate. In questo modo si riesce a rimanere a metà tra value e growth, evitando gli estremi.
Questo stile non ha limiti, per includere o escludere azioni, ma un parametro che i Garp osservano attentamente è il PEG ratio. Ovvero il rapporto tra P/E di una società e il tasso di crescita degli utili atteso nei prossimi anni, che deve essere pari o inferiore ad 1.
(fonte: https://portaleducando.com/us/glossary/garp/)
Quale è il miglior stile e quale è più rischioso?
Io ritengo che questo tipo di etichette hanno poco senso. Addirittura Buffett sostiene che il termine valore sia ridondante, perché in fin dei conti che cosa è investire se non cercare situazioni in cui il valore è superiore al prezzo?
Questo è ciò che disse nella lettera agli azionisti del 1992: << We think the very term ‘value investing’ is redundant. What is ‘investing’ if it is not the act of seeking value at least sufficient to justify the amount paid? Consciously paying more for a stock than its calculated value – in the hope that it can soon be sold for a still-higher price – should be labeled speculation (which is neither illegal, immoral nor – in our view – financially fattening).>>.
Tendenzialmente lo stile meno rischioso risulta il “distressed value investing”, acquistare società ad un prezzo inferiore rispetto al loro valore di liquidazione, per poi rivenderle non richiede comprensione del business sottostante e delle prospettive future, ma solamente capacità di stima dei beni dell’azienda ovvero di attività e passività presenti nel bilancio. È necessario avere competenze in materia di valori di liquidazione, di giurisdizione sul fallimento e procedure concorsuali.
Ma rimane una strategia difficile da implementare, data la scarsità di opportunità d’investimento in tal senso. Anche Seth Klarman, o Howard Marks, che sono due investitori “Distressed Value” hanno recentemente sostenuto di avere difficoltà nell’individuazione di questo tipo di opportunità nel mercato.
La crescita non è altro che una componente del valore, che può avere sia un impatto positivo che un impatto negativo. Questo è un concetto molto importante da affrontare, soprattutto per capire il rischio.
Quando l’azienda non ha un vantaggio competitivo sostenibile, la crescita può avere un impatto negativo e distruggere valore. Solo se l’azienda possiede un vantaggio competitivo, riuscirà a creare valore con la crescita. Troverete la spiegazione di questo concetto in un altro articolo!
In questo caso è necessario comprendere bene il business sottostante e le prospettive future, per capire se un’azienda può effettivamente crescere e soprattutto a che tassi di crescita.
Il grande rischio qui può essere quello di pagare troppo per la crescita. Ma l’investitore limiterà questo rischio grazie alle sue competenze e alla comprensione del business sottostante.
Mentre la strategia Garp, è più neutrale e non fa riferimento al concetto di vantaggio competitivo. Ma per crescere costantemente, ad un tasso superiore al mercato, per lunghi periodi, proficuamente, è necessario che l’azienda abbia un vantaggio competitivo sostenibile.
Nell’industria del risparmio gestito, vi è una tendenza a mettere etichette.
Io credo che sia abbastanza inutile fare distinzioni per categoria. Ritengo qualsiasi investitore, debba concentrarsi sui rendimenti e mirare a ottenere un rendimento elevato sul capitale investito, piuttosto che concentrarsi sull’elaborazione di comparazioni, e categorie.
Se un fondo non ottiene performance, non dovrebbe usare come scusante la categoria o l’etichetta.
Sia gli investitori growth, che value, o garp, mirano ad una massimizzazione del rendimento sul capitale gestito e possono di volta in volta scegliere società che hanno un basso tasso di crescita, oppure società che hanno un elevato tasso di crescita, o società che hanno un tasso di crescita medio.
- Peter Lynch viene ritenuto un investitore GARP, eppure ha investito in VOLVO negli anni ottanta (titolo che veniva ritenuto VALUE, P/E 1 e bassa crescita).
- Warren Buffett, viene ritenuto un investitore Value, eppure ha investito in VERISIGN (che veniva considerata una società Growth e non Value).
- Seth Klarman, viene considerato un investitore Value, ha investito in Facebook (anch’essa non considerata value, ma growth).
Benjamin Graham sosteneva che il value investing fosse, “acquistare un dollaro per 50 centesimi”. Siccome era riferito a valori già presenti all’interno della società, quindi in bilancio, possiamo tradurlo come acquistare un dollaro attuale per 50 centesimi. La stessa frase la possiamo convertire nella strategia Growth investing, come acquistare 1 dollaro futuro per 50 centesimi attuali. Qui si aggiunge il fattore tempo ed il fattore certezza di raggiungere quel dollaro futuro, per questo sono necessarie – a differenza del value classico – una ottima comprensione del business e dell’attività sottostante.
Noi preferiamo concentrarci sul contenimento del rischio e sulla massimizzazione dei rendimenti, voi?
Emiliano Cangu (Emiljan Cangu)